“La mia Diocesi un capitale fuori dalla capitale”. Intervista a 360° gradi al vescovo della diocesi di Tivoli Mauro Parmeggiani

In Cronaca & Attualità, Primo Piano, Spazio al Sociale, Terza pagina da Riccardo Sgroi Commenti

Condividi

A dirla tutta, le speranze che il Vescovo mi ricevesse per un’intervista, nella settimana che precede la Santa Pasqua, erano davvero poche se non altro perché per un uomo di chiesa gli eventi in questo periodo ovviamente si moltiplicano e invece, con mio grande stupore e sorpresa (che si abbina perfettamente col tema pasquale),  accetta di ricevermi proprio il giorno della vigilia per una veloce chiacchierata.

L’idea  dell’intervista deriva dal fatto che una persona che svolga questo ruolo su una diocesi così ampia, considerando che comprende realtà come Ienne, Guidonia e Tivoli, abbia costantemente sott’occhio una visione d’insieme di tutta la zona, una conoscenza dettagliata delle problematiche presenti e infine differenze e punti in comune di comunità, almeno sulla carta, molto distanti.

“Di cosa vogliamo parlare?” mi chiede. E per quanto abbia personalmente passato tutta la giornata precedente a ripassarmi le eventuali domande non mancano le difficoltà nel rispondere. Così per rompere il ghiaccio e scacciare un po’ la mia, non la sua, timidezza esordisco con una domanda semplice: Come sta Lei? E la sua Diocesi?

Bene grazie. Tu?” Anch’io sto bene e sorridendo lascio nuovamente la parola a lui.

La mia diocesi ha sicuramente una cartografia particolare sia per estensione che per frammentazione; possiamo perciò dividerla sostanzialmente in tre zone:

Guidonia ha una condizione di grande periferia urbana ma soffre  pesantemente l’assenza di un vero piano urbanistico dal momento che essendo cresciuta molto in fretta ha oggi i numeri della città vera e propria ma la sua struttura è ancora quella di una periferia.

Tivoli è invece paragonabile ad un’anziana signora nobile che soffre però di una scarsa autonomia anche considerando il grande potenziale turistico che possiede e di cui se ne sfrutta solo una piccola percentuale. E in più il pendolarismo di molti studenti e dei lavoratori danno a queste due realtà un poco invidiabile status di dormitorio. Ci sono dunque un po’ di responsabilità amministrative nelle problematiche fin qui dette.

Infine c’è una zona montana con Arsoli, Subiaco e Ienne che ha nella sua identità una forte connotazione di tradizioni radicate e un vivissimo senso della fede  spesso figlio di una massiccia presenza di comunità meridionale molto attaccate alle tradizioni religiose. Nonostante però la distanza geografica e identitaria non mancano le problematiche presenti nella grande periferia come  pendolarismo e disoccupazione.

Per quanto riguarda il discorso pastorale la recente fusione del 2002 di queste zone necessità ancora di un po’ di tempo per avere un’efficienza migliore ma il nostro obiettivo è quello di raccordare al meglio tutte queste realtà diverse. Per fare ciò bisogna evitare i particolarismi: ovvero dobbiamo cercare sia di creare eventi di incontro ma soprattutto di partecipare e non di creare altri eventi tutti nostri”.

L’analisi del vescovo mi colpisce per la sua completezza ma il mio interesse maggiore è per la visione delle differenze tra periferia e città così ritorno sull’argomento.

“ La crescita di Guidonia e dei suoi comuni è stata effettivamente esponenziale ma la rete che si è creata tra Roma e la sua periferia necessita di strutture che a tutt’oggi non ci sono; e si tratta di un problema che riguarda tanto Subiaco, quanto Ienne, Tivoli e Guidonia. Ho conosciuto persone di Ienne che per esigenze lavorative devono recarsi nella capitale e quindi si devono svegliare alle tre; io stesso quando ho un impegno nella capitale metto in conto almeno tre ore di spostamento. O infine credo sia impensabile chiudere l’ospedale di Subiaco, considerando che il collegamento con l’autostrada consiste in una strada provinciale, in buono stato per carità, ma sempre di una provinciale si tratta e il tratto non è neanche troppo breve!”.

Torniamo invece a parlare delle comunità. “Le realtà anche se più o meno distanti dalla capitale, soffrono, in maniere differenti, un problema di fede che sta attraversando tutto il mondo occidentale e che anche secondo il Papa Benedetto sedicesimo può trovare la sua cura mettendo nuovamente al centro la figura di Cristo. Oggi  invece, tradizioni o no, città o periferia, si assiste sempre più quotidianamente ad una vita vissuta lontano dai canoni cristiani: è come se si volesse creare dei momenti di fede distaccati dal quotidiano vivere. Ma è uno strappo deleterio e totalmente sbagliato. La Fede va rimessa al centro della quotidianità. Pur trattandosi di un problema a livello globale, anche le realtà più tradizionali e storicamente legate alla fede stanno vivendo questa crisi. È un problema che accomuna la periferia come Guidonia alla zona montana. Per fortuna la buona notizia è che c’è una forte volontà di testimoniare, di conoscersi e di conoscere da parte di tutte le comunità. Anche il laicato ha mostrato una forte voglia di apertura. I sacerdoti stanno realizzando un’ottima rete di condivisione tra di loro e la mia volontà è quella di aumentare il più possibile la nostra presenza sul territorio: come o più dei sermoni o di altre direttive organizzative,  gioca un ruolo fondamentale la presenza,  il farsi vedere e il testimoniare la propria fede anche al di fuori delle realtà parrocchiali”.

Mi viene quindi istintivo chiedere un parere sulla recente giornata di sabato 16 aprile nella piazza San Giuseppe artigiano di Villanova, in cui si sono incontrate molte  associazioni giovanili per pubblicizzare la prossima Giornata Mondiale della Gioventù.

“L’idea era proprio quella di testimoniare la nostra presenza sul territorio e di far vedere che ci sono molte realtà in grado di offrire ai giovani una proposta di fede accattivante. Ma più che altro era una sfida e alcune scelte come la piazza di Villanova, di passaggio ma non troppo, o il sabato prima della domenica delle palme hanno effettivamente penalizzato in un certo senso lo svolgimento dell’evento. È mancato forse un pizzico di interesse ma l’obiettivo era più che altro quello di dare un segnale. Dal punto di vista comunicativo abbiamo avuto altre esperienze, forse più accattivanti, specie per i giovani, come la luce della notte, in cui alcuni ragazzi partendo dalla parrocchia escono di sera nel tentativo di coinvolgere il più possibile altri ragazzi che si ritrovano proprio in quelle ore. Abbiamo intenzione di coinvolgere anche le fasce d’età adolescenziali proponendo settimane di campus in cui alla base di tutto c’è il confronto”.

Invece per quanto riguarda l’imminente beatificazione di Giovanni Paolo secondo quali sono i suoi programmi?

“Trattandosi di un personaggio ma soprattutto di una persona a me  molto cara, sono riuscito ad anticipare al sabato la funzione legata alla Madonna di Quintigliolo, di modo che il primo maggio possa essere personalmente presente in piazza San Pietro alla cerimonia della beatificazione, insieme a tutti quei fedeli che reputano questo appuntamento imperdibile”.

 Chiudiamo con un piccolo bilancio: dopo circa tre anni di presenza sul territorio quali differenze ha notato?

“Amministrativamente poche: molte promesse… ma pensando ad esempio alle cartiere di Tivoli le macerie son ancora lì a tre anni dal crollo ( che coincise all’incirca col mio arrivo). La comunità invece mostra una buona vitalità  nonostante alcune difficoltà come una povertà diffusa in molte realtà. Anche il crescente numero di seminaristi, ad oggi sedici, è un ottimo segnale!”

Infine un augurio di Pasqua a tutti i lettori di Roma Est Magazine anche dal Vescovo Mauro Parmeggiani che festeggerà in Emilia ritrovando i suoi familiari e (come tutti) un po’ a malincuore ritornerà dopo Pasquetta…ops…il lunedì dell’Angelo.

Condividi