1 maggio 2012. E’ ancora la Festa dei Lavoratori?

In Cronaca & Attualità, Primo Piano da Yari Riccardi Commenti

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“La disoccupazione è una cosa per il disoccupato e un’altra per l’occupato. Per il disoccupato è come una malattia da cui deve guarire al più presto, se no muore; per l’occupato è una malattia che gira e lui deve stare attento a non prenderla se non vuole ammalarsi anche lui”. Disoccupazione come malattia dalla quale salvarsi e dalla quale tenersi lontano. Lo diceva Alberto Moravia. Parole di più o meno 30 anni fa, oggi drammaticamente attuali. La stessa disoccupazione che fa attecchire con facilità “la gramigna della mafia”. Quella mafia che uccide, che chiede il pizzo, che sfrutta, che brucia tutto quello che c’è intorno a lei. Si festeggiano i lavoratori, come ogni 1 maggio. Il ministro Fornero ci ricorda che il lavoro non c’è. In piazza San Giovanni il classico esercizio di retorica del Concertone, dove tutti proclamano uguaglianza e riscatti sociali, dove i sindacati sono addirittura uniti. Tutto bello, ma tutto uguale a tutti gli anni. Tutto resta, e resterà, esattamente come è sempre stato. Uguale. Tanti auguri ai lavoratori. Oggi è stata la loro festa. Cosa c’è da festeggiare resta ignoto: proprio oggi una nuova morte bianca all’Aquila, che verrà liquidata con poche e brevi parole di circostanza. Lavoro che non c’è, disoccupazione, quindi crisi, quindi suicidi. Ci teniamo lontani dalla sterile polemica sulle tasse del nuovo governo: non crediamo che l’attuale governo abbia particolari responsabilità. Un malato grave va curato per bene nel corso degli anni: e prendersela con un medico che esercita la professione su un paziente già agonizzante da soli pochi mesi e dimenticare le azioni inutili dei precedenti primari è fatto strumentale e politico. Resta una situazione ai limiti del sostenibile, per le imprese, per le famiglie, per i giovani. “Il mio lavoro è roba piccola fatta di plastica che piano piano mi modifica, mi ruba l’anima dice “il lavoro rende nobili” non so può darsi, sicuramente rende liberi di suicidarsi”: la meravigliosa pratica del precariato, invenzione tra le più dannose del Ventesimo secolo, ha di fatto spazzato via sia le certezze che i sogni. Nessuno rischia, nessuno si batte per il lavoro per il quale ha studiato e si è speso. Giustamente, ci viene da dire. Un lavoro che è un investimento che non ripaga nessuno. Per questo continuiamo a non comprendere cosa ci possa essere di lieto in una ricorrenza che mai come oggi sembra un paradosso. Festeggiare i lavoratori in una società che lavoro non ne ha e non ne dà è pessima retorica. Come quella sul futuro. Ad oggi non c’è un futuro per nessuno, non ci può essere. C’è il presente, ma ahinoi, anche in questo “di salvabile c’è poco o niente”, riprendendo nuovamente Daniele Silvestri.  Vogliamo tuttavia tentare di guardare oltre, e di guardare – che altro c’è da fare? – al futuro.

“Un uomo che vuol lavorare e non trova lavoro è forse lo spettacolo più triste che l’ineguaglianza della fortuna possa offrire sulla terra” (Thomas Carlyle). Oggi ricordiamo tutti quei padri e quelle madri che ogni giorno, nell’incertezza, portano a casa lo stipendio per i loro figli, tutti quei giovani che decidono di non lasciare le loro terre e di spendersi nei posti della loro vita, sputando in faccia al becero concetto di “bamboccione” tanto caro ai ministri di qualche tempo fa. Ricordiamo gli immigrati che vengono in Italia per lavorare e dare il pane ai loro cari rimasti magari in patria: immigrati che vengono qui e spesso ci restano per l’eternità, come l’operaio di 51 anni romeno morto oggi in Abruzzo. Ricordiamo i lavoratori morti per l’eternit, ricordiamo quelli della Thyssenkrup. Ricordiamo gli “sfruttati, i malpagati e i frustrati”. Ricordiamo chi tenta di fare qualsiasi mestiere e non viene neanche messo alla prova. Un grande classico nell’epoca del “Le faremo sapere”. Il 1 maggio deve essere un giorno di ricordo, affinchè le storture del lavoro moderno possano essere monito per chi lavorerà e per chi darà lavoro. Quello che ci piacerebbe vedere, sempre in quel futuro molto più che utopico che non possiamo che immaginare in questo momento, è una società che riesca a tutelare e a rispettare i diritti dei lavoratori. E a far lavorare tutti. Realtà, quella di oggi, rappresentata perfettamente da Caparezza. “Stipendio dimezzato o vengo licenziato  A qualunque età io sono già fuori mercato …fossi un ex SS novantatreenne lavorerei nello studio del mio avvocato invece torno a casa distrutto la sera, bocca impastata come calcestruzzo in una betoniera io sono al verde vado in bianco ed il mio conto è in rosso quindi posso rimanere fedele alla mia bandiera su, vai, a vedere nella galera, quanti precari, sono passati a malaffari quando t’affami, ti fai, nemici vari, se non ti chiami Savoia, scorda i domiciliari finisci nelle mani di strozzini, ti cibi, di ciò che trovi se ti ostini a frugare cestini ..ne’ l’Uomo ragno ne’ Rocky, ne’ Rambo ne affini farebbero ciò che faccio per i miei bambini, io sono un eroe”. Nel nostro mondo ideale, gli eroi sono questi. E a loro dedichiamo la Festa del Lavoro e dei Lavoratori. Nella speranza che, il prossimo anno, riusciremo finalmente ad guardare il 1 maggio con occhi diversi da quelli di oggi. Proprio nel Concertone, uno dei protagonisti della serie Boris ha detto questa frase. “Abbiamo sempre aspettato che arrivassero i Nostri. Oggi i Nostri siamo noi”. Bella frase. Tocca solo riuscire a crederci.

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