Caos Buzzi. La CISL: “Si è alzato un polverone per un fatto che non esiste”

In Ambiente & Territorio, In Evidenza, Primo Piano da Yari Riccardi

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Materiale inerte e fanghi delle acque di prima pioggia dello stabilimento. Non ci sono rifiuti presi dall’esterno e quel documento della Città Metropolitana “ha alzato un polverone che non esiste”. A parlare è Gianni Tuzi, sindacalista RSU CISL, da più di 10 anni punto di riferimento per molti lavoratori nello stabilimento di Guidonia.
“I materiali che sono entrati nel processo – ha spiegato – in quei giorni erano solamente mattoni demoliti, di nostra proprietà, inseriti nel ciclo, prima frantumati e poi uniti alla materia prima. Il tutto andrà poi a formare il clinker, che è il semiprodotto base per realizzare il cemento”. I fanghi erano invece quelli della vasca di prima pioggia dello stabilimento che, “invece di essere smaltiti a cielo aperto, sono stati portati al frantoio e da lì inseriti nel ciclo di processo. L’azienda avvisa sempre i sindacati quando accadono queste eventualità”.
Altro fronte caldo è quello degli stormi di gabbiani che giornalmente vengono segnalati nel cielo al di sopra della Buzzi: molte persone hanno associato questo fatto alla presenza di eventuali rifiuti nelle Cementerie. Ma il problema, prosegue Tuzi, “non è di competenza dello stabilimento”, perché i rifiuti, pranzo prelibato per gli uccelli, non sono nella fabbrica. Sono in un altro posto. “In un deposito di una ditta che opera nel campo dei trasporti, e che si occupa del trasporto di umido, ogni mattina arrivano molti camion che portano rifiuti: il rifiuto viene caricato su alcuni autocarri e portato al Nord Italia per lo smaltimento. La ditta è attiva tutti i giorni. Comprendo la facilità nel collegare il tutto alla Buzzi, però magari sarebbe corretto prima valutare l’intero quadro della situazione”.
Con Tuzi abbiamo anche parlato delle attuali condizioni dei dipendenti dello stabilimento. “Stiamo toccando il minimo storico dei dipendenti, ora siamo sotto alle 120 unità, negli anni 80 eravamo quasi 400. Il forno parte e si ferma, proprio per via del calo della produzione ed è chiaro che l’azienda deve mettersi nelle condizioni di poter continuare a lavorare, sempre rimanendo nel rispetto delle norme e dell’ambiente circostante. Comprendo i dubbi e le preoccupazioni: ma da qui ad accusarci di cose non vere…”.

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