25 Aprile 2012. Costituzione e rivoluzioni da scrivania, social network e apologie, Libertà

In Cronaca & Attualità, In Evidenza, Politica, Primo Piano da Yari Riccardi Commenti

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“Era giunta l’ora di resistere; era giunta l’ora di essere uomini: di morire da uomini per vivere da uomini”. E’ una delle frasi che rappresenta maggiormente, a nostro modo di vedere, quello che la Resistenza è stata per l’Italia della seconda Guerra Mondiale. Poche parole che racchiudono un enorme significato. La paura, la consapevolezza del rischio, la speranza e l’orgoglio. Non a caso a parlare è Piero Calamandrei, uno dei padri della nostra Costituzione. E non a caso abbiamo scelto proprio il giurista per aprire questo breve scritto. Perché intendiamo parlare di Costituzione, e di quanto, proprio alla vigilia della Festa della Liberazione, festa nazionale e per questo senza colore politico. Non è la festa di qualcuno. E’ la festa di tutti quelli che oggi, in Italia, possono parlare di libertà. Ed è per questo che occorre ricordare che l’apologia di fascismo è un reato. Perché proprio in questi giorni si vedono, si sentono, si leggono cose che non possono essere accettate. Perché violentano la Storia di un Paese che 67 anni fa si è ribellato contro un regime. Un regime totalitario, un regime opprimente e odioso. Un regime, quello nazifascista, che ha le mani sporche di sangue. Come tutti i regimi, ovviamente. Non facciamo politica, tentiamo di essere lucidi. E lucidamente non si può accettare di leggere vere e proprie sconcerie – sui social network, sui giornali, in televisione – verso chi semplicemente credeva in un ideale. Un idea di libertà che, oggi, non è né di destra né di sinistra. Dovrebbe essere finito il tempo delle facili categorizzazioni. E, aggiungiamo, la prova sta nelle celebrazioni che oggi si stanno svolgendo in tutte le città d’Italia, governate dal centro destra e dal centro sinistra. La prova sta nella Costituzione tanto bistrattata, che prevede, nella XII norma transitoria, il divieto della “riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”. Ora, se la Costituzione prevede questo, se la legge prevede il reato di apologia di fascismo, come si può infangare una Festa che è di tutti? Ci hanno provato in questi anni, a rivedere, a rivalutare. A revisionare qualcosa che non può essere revisionato. A negare fatti.

“C’è una campagna di denigrazione della Resistenza: diretta dall’alto, coltivata dal cortigiano. Il loro gioco preferito è quello dei morti, l’uso dei morti: abolire la festa del 25 aprile e sostituirla con una che metta sullo stesso piano partigiani e combattenti di Salò”. Giorgio Bocca è stato uno dei primi a parlare di questo. Leggere “Il 25 aprile non è la mia festa” – e si legge – vuol dire avere le idee poco chiare sulla libertà, sul concetto di uguaglianza, di solidarietà e di orgoglio. Valori che non sono “di sinistra”. Sono di tutti. Non si discute il valore dei morti. Si discute l’opportunità di gettare fango su 67 anni di Storia. La nostra Storia. Tra l’altro, in questo periodo storico di “ribellione” verso la politica – si fa per dire, ovviamente: la ribellione più grande è davanti lo schermo di un monitor, pubblicando link più o meno seri – è importante, dovrebbe esserlo almeno,  conoscere e apprezzare quello che è accaduto durante e dopo la Liberazione, visto che la “ Resistenza e il Movimento Studentesco sono le due uniche esperienze democratico-rivoluzionarie del popolo italiano” (Pier Paolo Pasolini). Questo non vuol dire ritornare sui monti aspettando l’oppressore. Vuol dire prendere coscienza di quello che eravamo e quello che siamo diventati. Di quello che pensiamo e di quello che non facciamo. Di quello che vediamo e di tutto quello che fingiamo di non guardare. Di comprendere, finalmente, che gli schieramenti, le ideologie, le categorie, le bandiere e i colori fanno il solo gioco di chi ha interesse a tenerci divisi, pronti a azzannarci tra di noi dimenticando le cose davvero importanti. Una di queste, quella sulla quale poggia tutta la nostra vita, è la libertà. Che non è rossa. E non è nera. Non ha un colore, perché li ha tutti. L’altra è la giustizia. “Nessun ideale di giustizia può essere sotterrato o annegato per sempre nel vino. I sogni galleggiano. Sì, è vero, gli uomini sono pigri e un po’ codardi, ma prima o poi la paura li sveglierà” (Benedetto Ferrara). La paura. La paura non aiuta a non morire. Tanto vale vivere, con coraggio, e togliere gli steccati che ci separano dall’altro. Dagli altri. Nell’era dei social network, possiamo racchiudere tutto con “solitudine condivisa con altre solitudini”. Spegniamo il computer, usciamo e respiriamo. Siamo liberi. Anche e soprattutto grazie a quello che è successo 67 anni fa.

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