“Senza studio si rischia di essere dalla parte dei carnefici, degli sfruttatori, o, per lo meno, se proprio non vogliamo esagerare, dalla parte degli spettatori impotenti”. Categorie che spesso si incontrano nella vita di tutti i giorni. Categorie che gli studenti e gli insegnanti di tutta Italia non accettano per loro stessi e per il loro futuro. Possiamo racchiudere con queste poche parole l’ondata di proteste che sta attraversando il Paese in questi giorni. Proteste che non possono non far riflettere: in piazza scendono – e ci torneranno domani – milioni di studenti decisi a opporsi a chi tenta di giocare con il loro diritto allo studio, con il diritto ad una scuola pubblica di qualità, che possa offrire non solo sbocchi lavorativi. Perché non si può ridurre solo a questo quando sta succedendo. Cultura, sogni, speranza. Tre valori sui quali dovrebbe poggiare la scuola moderna. Valori che spaventano, spesso. Termini che sembrano fuori moda. Eppure, dopo la visita “dentro” le occupazioni di due scuole di Guidonia, il liceo scientifico Ettore Majorana e l’istituto Minniti, forse possiamo ritornare a parlare di alcune cose. Della volontà di cambiare e non più di subire, per esempio. Cambiare con le azioni e non spaccando tutto, o protestando tanto per perdere un giorno di scuola. Ed è per questo che una parola può ritornare di moda. Speranza. Molti hanno tentato di calpestarla. I ragazzi tentano in tutti i modi di tornare a farla risplendere. E da quello che abbiamo visto nei loro occhi, ascoltando le loro parole e osservando le loro azioni, davvero, un po’ di speranza è tornata anche in noi vecchi studenti.
“Occupazione responsabile”. “Lo Stato deve prendersi la responsabilità del nostro futuro”. Parole che basterebbero da sole a dare valore a quanto sta succedendo in questi giorni in tutte le scuole d’Italia. Parole pronunciate dai ragazzi del Liceo Scientifico Linguistico Statale Ettore Majorana di Guidonia, alle prese da oggi con l’occupazione, per protestare contro l’idea di una scuola pubblica che rischia di non essere più troppo pubblica, visto quanto è stato scritto nell’ex DDL Aprea. Scuole che diventano fondazioni e privato all’interno del pubblico. L’occupazione del Majorana ha avuto inizio la mattina di giovedì 22 novembre, per vedere la fine nella sera di sabato. E da subito si è dimostrata responsabile, prova del fatto che non si tratti di una protesta tanto per evitare un paio di giorni di scuola. Ma di un modo per tentare di mettere fine alla discutibile “abitudine” delle istituzioni di giocare, dall’alto e senza alcun rispetto, sul futuro della scuola e dei ragazzi. “Abbiamo dato accesso – spiegano gli studenti – agli insegnanti, personale Ata e di servizio. La segreteria è attiva, e oggi gli insegnanti potranno svolgere il collegio docenti”. Come ogni protesta studentesca, c’è qualcuno che non ha le idee molto chiare. Altri, e sembrano essere la maggior parte, parlano con passione e consapevolezza di quanto sta accadendo nel mondo della scuola. “Non possiamo accettare la sola idea che siano i privati, chi mette i soldi, a farci i programmi. Noi vogliamo studiare, e non essere schiavi di nessuno”. Stato di agitazione che ovviamente è anche degli insegnanti. Proprio nel collegio docenti che si è tenuta ieri è stata discussa la mozione contro le scelte politiche del governo in materia di istruzione e i 200 milioni di tagli contenuti nella spending review. “Sono state le nostre proteste – spiega un professore – a portare alcuni emendamenti. Lo stralcio dell’articolo 2, che intendeva trasformare le scuole in fondazioni, la terribile definizione <<consiglio d’amministrazione>> che è poi stata cambiata in <<consiglio d’autonomia>>. C’è ancora molto da fare. La stessa idea di uno statuto per ogni scuola mette a repentaglio l’unità culturale del Paese. E questo è davvero inaccettabile”. Proteste e responsabilità. Valori che talvolta sembrano non convergere. Quanto sta succedendo al Majorana di Guidonia è la prova che si può fare: certi valori possono camminare insieme. E si può combattere anche senza spaccare tutto.
“L’occupazione è l’unico modo per dire la nostra”. Con questa frase ci accoglie Mirko Leuzzi, rappresentante d’istituto del Minniti. La protesta nella scuola di via Zambeccari arriverà fino a venerdì prossimo. Il ragazzo spiega come tutto sia nato “dalla volontà di seguire il trend che hanno preso tutte le scuole d’Italia. Le motivazioni? Senza dubbio non possiamo accettare tutti i tagli che si stanno prospettando nel mondo dell’istruzione”. I ragazzi hanno fatto le cose in regola: un regolamento chiaro, corsi e attività durante la giornata – primo soccorso, protezione civile, sport, musica e biologia – e un numero fisso di presenti abbastanza alto. Soprattutto, tengono a sottolineare come tutto questo “non è un modo per non fare lezione. Noi vogliamo far sentire la nostra voce e far valere i nostri diritti”.
In attesa della manifestazione di Roma..“Lo studio: strumento per costruire la propria libertà, educazione dell'ingegno e della creatività al lavoro, ma soprattutto occasione privilegiata di capire la vita” (Enrico Palandri). Talmente semplice che non avrebbe nemmeno bisogno di spiegazioni. Libertà, ingegno, creatività. Cose che può offrire anche la scuola. Cose che deve offrire la scuola. Una scuola sana, trasparente, accessibile a tutti. Tutto quello che spesso non è stato possibile in questi anni. Non sappiamo se serviranno queste proteste, o le manifestazioni di piazza. Ci auguriamo solo che i “grandi” stavolta abbiano imparato la lezione che i ragazzi tentano di portare loro. Non si tratta di non voler studiare. Si tratta di voler crescere e di volerlo fare nelle migliori condizioni possibili. Non sembra essere un crimine. Non ancora, almeno.
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