Una vita in bilico tra le crepe: viaggio nel condominio Ater di Via Trento, Villalba di Guidonia

In Ambiente & Territorio, Cronaca & Attualità, Primo Piano da Yari Riccardi Commenti

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Una crepa. Un pavimento che si alza. Una porta che si apre e chiude da sola. Una scala che non riesci a guardare nemmeno, perché pensi possa staccarsi a un momento all’altro. Un ascensore che non prenderesti neppure se fosse l’ultimo rimasto. Una vita in bilico. Questo è il quotidiano dei residenti in via Trento, a Villalba: cittadini da anni alle prese con le subsidenze, gente che da anni vive con la consapevolezza di essere “in bilico”. Non staremo qui a discutere su documenti, responsabilità, cronologie. Oggi non ci interessa questo. Racconteremo quello che abbiamo visto ed ascoltato, mettendoci nei panni, per una mattinata, di chi vive nel condominio dell’Ater che abbiamo visitato. 

Cominciamo col dire che il palazzo in questione, in via Trento 60, si trova in condizioni poco consone a prescindere dalle subsidenze: poca è la manutenzione che viene effettuata, recentemente sono stati cambiati gli impianti idrici che fino a poco tempo fa davano acqua marrone, cambiando anche i vasconi che prima erano di eternit. Camminando nei pressi della base dell’edificio, abbiamo visto spazio tra il terreno e le case: uno spazio ovviamente minimo, causato dai movimenti del terreno che si ripercuotono sul palazzo, ma tale spazio, anche se minimo, si va ad unire ai problemi che hanno le fogne – e alle piogge di questi giorni – diventando un fetido mix di odori e di liquami, che si vanno ad inserire esattamente al di sotto degli appartamenti. Vi assicuriamo che l’odore è forte anche di primo mattino. Continuando il nostro giro esterno, abbiamo visto un bagno chimico ora deposito di rifiuti, i vecchi impianti dell’acqua, i muri intrisi di umidità per le infiltrazioni. Ovviamente, i muri che abbiamo visto all’esterno, all’interno erano altrettanto bagnati. Come se non bastassero le crepe. Dopo il giro esterno, siamo entrati all’interno del palazzo. Prima di entrare in alcune case – non in tutte, la gente ha ovviamente paura di perdere la casa – abbiamo dato un’occhiata al condominio al suo interno. Due le cose che ci hanno particolarmente impressionato: le crepe sulla struttura delle scale – si veda la foto principale dell’articolo qui a fianco – e l’ascensore, in alcuni tratti quasi “scollato” – non è il termine giusto, ma è quello più rappresentativo – dal muro, e con un pavimento, nel primo portone, che era un po’ “ballerino”. Fortunatamente quell’ascensore viene utilizzato, con sommo sprezzo del pericolo, solo da poche persone. Tralasciando le crepe sui muri, che ci hanno assicurato non esserci il giorno prima, siamo entrati in un appartamento. I primi passi in una casa devastata dalle subsidenze sono anche divertenti: come un astronauta, ci si sente in bilico nel camminare, non si hanno dovunque saldi appigli. Noi ci abbiamo camminato una mezz’ora. La gente che abita lì ci cammina sempre in bilico. Crediamo sia ance piuttosto stanca. Una scena che non possiamo dimenticare: una boccia che, messa per terra, ha girovagato, senza spinte, per la casa. Il terreno si alza e si abbassa, il palazzo ruota su se stesso: per questo esplodono i pavimenti, per questo la gente è costretta a mettere fazzoletti di carta nelle evidenti crepe che abbiamo visto ai lati delle finestre. D’inverno e d’estate. Dopo il primo appartamento, siamo entrati in un altro: la signora aveva i muri devastati dall’umidità – quella che avevamo visto all’esterno – e il bagno, nuovo, appena fatto, presentava già piccole crepe sulle mattonelle. Che vita è questa? Nel primo appartamento che abbiamo visitato, una stanza era fatta solo di valigie. Paura e speranza: un cambiamento atteso eppure temuto. Parliamo sempre di case, prese con sudore e fatica, arredate e vissute. Non è semplice andare via.

Abbandonati queste due case, siamo andati verso la terrazza “vista cave”. Prima, una nuova sosta in un’altra casa: qui ci hanno accolto due bellissimi bimbi e la loro mamma. Anche qui, porte che restano bloccate, pavimenti che si alzano, mattonelle che si rompono. Una delle libertà di essere bambini è quella di poter camminare a piedi nudi: quei bambini non possono farlo, perché il loro pavimento avrà sempre qualche scheggia, qualche piastrella rotta, un pezzo di pavimento rialzato. Saliamo ancora.

Eccoci alla terrazza. Qui, a parte il panorama delle cave, la cosa più evidente si trova dal lato che dà sui Cieli Azzurri (proprio di fianco al palazzo). Un pezzo di parapetto è tenuto su a due lastre di acciaio o simili, non tirate (foto numero 3). Ora, certi che il tutto è stato fatto nella massima sicurezza, abbiamo immaginato una scena, che non stiamo neanche qui a raccontare. Diciamo soltanto che in linea d’aria, immediatamente sotto quel terrazzo ci sono i Cieli Azzurri, c’è la strada, ci sono le persone che passano.

Tanti anni sono passati dallo scoppiare del caso subsidenze, sinkhole e simili. Troppa gente è esasperata. Una sorta di Divina Commedia quella degli abitanti di Villalba e Tivoli Terme, che da anni vivono in questa sorta di limbo, senza riuscire a venire a capo di una situazione che ha visto protagonisti tanti enti e tanti personaggi. Tra quanto queste persone potranno rivedere le stelle? Tra quanto potranno riprendere una vita consona? Domande alle quali non abbiamo risposta. Restano i sogni, quelli che non hanno crepe, quelli che non crollano. Detto francamente, non riusciremmo a vivere “in bilico” come le persone che abbiamo incontrato in un assolato sabato mattina di novembre. Ed è per questo, per il coraggio, la dignità, le lacrime non versate, che questa gente deve ritornare ad una vita vera, stabile, duratura. Senza crepe e pavimenti che esplodono.

 

    

    

    

    

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