Settore estrattivo. Occupazione. Introiti. Esportazione di materiali di pregio. Politica, certamente. Ma anche problematiche ambientali, economiche, imprenditoriali e “di parte” che da anni sono “affrontate” senza che nessuno si prenda la responsabilità di dire effettivamente come stanno le cose. In mezzo a tutto questo, gli operai, triturati dal via vai di voci, leggi, manifestazioni e dichiarazioni. Una situazione della quale molto si è parlato nelle ultime settimane, con la battaglia portata avanti dal sindaco Rubeis in Regione sulle modifiche alla legge 168, che regolamenta le cave e le torbiere: legge che avrebbe avuto evidenti ricadute sul territorio di Guidonia. Nel dibattito entra anche il circolo Legambiente della Città dell'Aria, con una premessa decisamente chiara. “Gli imprenditori dell'industria estrattiva non possono pensare di nascondere ancora il fatto che, con i ritmi attuali, presto esauriranno la risorsa. A meno che non intendano comperare le case di Villalba o Villanova per poi escavarne il sottosuolo”. Un riferimento diretto alle scelte imprenditoriali degli imprenditori del travertino, da sempre abituati ad una sola logica: estrarre ed esportare. Nessuna visione a lungo termine: per gli ambientalisti nessuna volontà di valorizzare realmente il prodotto travertino, visto che “per anni i cavatori hanno rincorso la massimizzazione dei profitti. La politica, da parte sua, non ha governato la gestione del territorio con progetti di sostenibilità a lungo termine. A Guidonia l'industria estrattiva non è abituata a fronteggiare il benché minimo ostacolo ambientale, burocratico o politico. E' per questa ragione che ha suscitato tanta fibrillazione l'intervento del Sindaco Rubeis sul meccanismo di rinnovo delle autorizzazioni alle escavazioni”. Non serve far notare che tutti gli stravolgimenti ambientali e territoriali spesso sono un prezzo altissimo per città e cittadini, a beneficio di pochi. Il pagamento per questi interventi, talvolta senza controlli, lo richiederà “la geologia, con l'approssimarsi di un esaurimento reale delle potenzialità di escavazione, ad imporre uno stop allo sfruttamento. A poco servirà continuare a “grattare il fondo”, oltre non si potrà andare e non è neanche pensabile che si vadano a fagocitare nuove aree pubbliche per destinarle a cava. Purtroppo l'attività estrattiva ha comportato costi incalcolabili in termini ambientali ai quali ora si aggiungono emergenze socio-economiche per la precarietà in cui si ritrovano. Per non parlare poi di una serie di costi futuri, non ancora evidenti o quantificabili. Diverranno più evidenti quando le cave saranno abbandonate e nel nostro territorio avremo soltanto canyon polverosi o discariche diffuse ed incontrollate”. Non è il finale di un catastrofico film americano, ma uno scenario da mettere in conto, e, possibilmente, da evitare, non vedendo all’orizzonte eroi di Hollywood. Legambiente prosegue soffermandosi sul ruolo degli operai, le cui rappresentanze sembrano non riuscire ad “affrontare con franchezza la questione cardine: la crisi incipiente del settore. D'altra parte lascia già perplessi la discutibile tutela delle condizioni di lavoro degli operai. Da diversi documenti pubblicati nel web sembra evidente la mancata adozione di presidi di sicurezza all'interno delle aree di cava”. Quale sarà il futuro quindi? Fermo restano la tutela della salute pubblica, dentro e fuori le cave, alla quale aggiungiamo noi la tutela dell’occupazione degli operai e dei cittadini coinvolti nella subsidenza – tematica da sempre legata al settore estrattivo, volente o nolente – il circolo chiede soluzioni per un percorso di responsabilità, visto che “la questione fondamentale è che con questo trend di escavazione l'esaurimento della risorsa economica è imminente. Da questo punto fermo si può delineare una uscita graduale e non dolorosa per nessuno. La priorità è quella di agire sul modello di sfruttamento della risorsa riducendo progressivamente i volumi di escavazione e, parallelamente incentivare la lavorazione
in loco del prodotto tipico. Riteniamo che, senza nulla togliere al pregio del lapis tiburtinus la vera valorizzazione sia il processo di lavorazione che potrebbe divenire prevalentemente esclusivo del nostro bacino”. Una proposta che è stata portata avanti più volte, ma che è sempre rimasta lettera morta: ed è strano, visto che, allo stato attuale dei fatti, potrebbe essere l’unica a salvare, come si dice, “capra e cavoli”, una possibilità per salvaguardare il territorio, i livelli occupazionali e gli interessi dell'industria estrattiva. L’invito finale di Legambiente è quello di “affrontare seriamente e con onestà intellettuale l'intera questione invitando le parti in causa a rinunciare sin d'ora a quei comportamenti assolutamente inconcludenti e fuorvianti quali la promozione di conflitti strumentali tra le parti, i cosiddetti scaricabarili e soprattutto le mezze verità”. Pratiche molto frequenti. Non per questo devono essere accettate, né essere rassegnati a questo quadro. Fosco, complicato, frastagliato. Dipinto di quella variopinta galleria d’arte che è Guidonia.
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