118: il TAR del Lazio dice di no alle società private. L’emergenza a Roma e nel Lazio resta alla Croce Rossa

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Dura lex sed lex. E questo è noto. Purtroppo la Legge deve adeguarsi al diritto. E spesso il diritto è cieco rispetto alla realtà. Risveglio amaro per le società e associazioni sanitarie che, prima del ritorno della Croce Rossa, svolgevano il servizio di 118 nella provincia di Roma e nella Regione Lazio. Il ricorso presentato al Tar del Lazio per “l’annullamento del decreto n. 70 del 28 maggio 2012 del Presidente della Regione Lazio in qualità di Commissario ad acta, pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione Lazio n. 23 del 21 giugno 2012, avente ad oggetto ”Ratifica del Protocollo di intesa sottoscritto il 29 marzo 2012 e autorizzazione alla stipula di convenzione tra Ares 118 e Croce Rossa Italiana per l’acquisizione dei servizi per l’integrazione del sistema di emergenza sanitaria”. Annullamento che ovviamente non si è concretizzato. E se la legge dice una cosa, il buon senso ne direbbe un’altra, a maggior ragione in un momento di crisi economica. Perché alla fine si parla anche di soldi. E il risparmio portato dalle società private era cospicuo per le casse regionale, visto che la Croce Rossa percepirà circa 20 milioni di euro l’anno per 6 anni, contro i circa 15 previsti dal precedente accordo tra Ares e privati: “l’affidamento diretto del servizio alla Croce Rossa Italiana si pone in palese contrasto con i principi che regolano il settore dell’evidenza pubblica, che impongono che l’appalto sia svolto dall’impresa che ha presentato l’offerta migliore”. E questo in effetti lo dice la legge. Ma evidentemente non basta.

Soldi quindi, ma non solo. Si è parlato di subappalti da parte della Croce Rossa: cosa che non si può fare, che molto scalpore ha destato in Ares. Ma la legge si riferisce al diritto, e il diritto i fatti “incidentali” non li può prevedere. Non prevede il Diritto che dopo mesi di campagna diffamatoria contro i privati si è venuti a scoprire che le ambulanze e i mezzi della Croce Rossa “scarseggiano” di autorizzazioni (legge 49/1989, autorizzazione al trasporto infermi) e di dotazione tecnica: le stesse accuse – false – erano state portate contro i privati. E non lo diciamo noi, ma i dati di cronaca, che molto hanno raccontato di questa storia. Di questa vicenda si è interessato anche il Ministero della Salute, che ha chiesto chiarimenti alla Regione Lazio sulla convenzione tra Ares e la Croce Rossa: convenzione che, a un certo punto, nelle scorse settimane sembrava poter essere “bloccata” dall’Agenzia.

Chiudiamo con il lavoro: grandi critiche avevano ricevuto i privati per fatti – lavoro in nero, contratti bassi, scarsa professionalità – che semplicemente non sussistevano. Sulla Croce Rossa, che non solo non ha assunto i 91 lavoratori estromessi a settembre 2010, come annunciato in tutti questi mesi, ma ne ha fatti rientrare solamente la metà, più o meno, tramite agenzie interinali, solo silenzio da parte di quelle istituzioni che tanto ne avevano caldeggiato il ritorno.

Naturalmente la sentenza sarà rispettata, ma resta un senso di impotenza davanti a certe decisioni davvero difficile da mandare giù. Perché conferma quanto già si sapeva: in Italia la politica conta più della preparazione, della tecnica e della professionalità. La campagna contro le società private è la prova di quanto scritto sopra. Società con la unica colpa di essere state chiamate dall’Ares e di aver dimostrato di saper fare bene e in maniera del tutto seria il loro lavoro. Per questo l’esito della sentenza è molto fastidioso. Ancora più amaro quando si tratta di sanità e di emergenza. Del resto, lo sappiamo, la Legge è Legge. E poco ci si può fare. La realtà però, spesso, racconta altro. Che poi non si voglia ascoltare, è tutto un altro discorso.

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